Da bambini di estate, nei pomeriggi infuocati, invece di dormire, io mia sorella Francesca e mia sorella Cinzia, andavamo nella campagna retrostante la villa del nonno a Santo Spirito a rubare le mandorle.
Bisognava scavalcare un cancello di ferro che separava la villa antica dalla campagna, sempre chiuso con un lucchetto, non si sa perché.
Abbastanza alto da rendere, per un bambino di 6/7 anni, l’operazione pericolosa e irresistibilmente affascinante.
Una volta scavalcato il cancello eravamo in una distesa di ulivi e mandorli, caldo asfissiante, cicale che frinivano assordanti e niente altro, sembrava un universo a se stante.
Bisognava camminare nel terreno secco con le scarpette a occhio di bue, appena comprate da Bimbi in via Sparano, che si riempivano di terra e non sarebbero durate neanche una estate.
Una volta individuato il mandorlo pieno di frutti, ci si arrampicava fra i rami scorticandosi le ginocchia e le braccia sulla corteccia dura.
A quei tempi non si indossavano i pantaloni lunghi, i bambini vestivano con i pantaloncini corti e una canottiera di cotone a costine. Fresco e pratico. Le madri pensavano all’essenziale e i figli non chiedevano di meglio. La libertà assoluta, nessuno stereotipo, nessun modello da imitare, si era alla fine se stessi senza nessuno schema.
Ricordo che quello che si arrampicava sull’albero ero io, e una volta raggiunte le mandorle le staccavo dai rami e le lanciavo alle sorelle che erano sotto l’albero.
Quando si pensava di aver raggiunto un cospicuo bottino scendevo dall’albero finendo di scorticarmi completamente e iniziava la parte più bella dell’operazione.
Ci accovacciavamo per terra ognuno munito di una pietra che doveva essere grande a sufficienza per rompere il guscio delle mandorle ma non troppo da non essere gestibile per un bambino.
Così accovacciati iniziavamo a colpire. Prima bisognava rompere l’involucro morbido arrivando poi al guscio vero e proprio. Rompere il guscio senza frantumare tutta la mandorla era roba da ladri di mandorle professionisti. Solo una grande esperienza di pietre e mandorle poteva garantire una mandorla intera e intatta. Una volta rotto tutto quello che c’era da rompere si sprigionava quell’odore di mandorla fresca umidiccia nel suo latte che mi è rimasto fissato nella memoria per sempre.
Ultima operazione da effettuare prima della meritata ricompensa, togliere l ultima buccia sottile e morbida che ricopriva il frutto.
E finalmente poteva iniziare la scorpacciata di mandorle fresche appena colte dall’albero. Anche quel sapore e la sensazione al palato della mandorla che si frantumava in bocca non la dimenticherò mai.
Queste erano le nostre estati da bambini, ginocchia scorticate, arrampicate sugli alberi, bicchieri di orzata fredda e canottiere di cotone a costine. Ed eravamo felici.